giovedì 31 marzo 2011

Chico Xavier- frasi

– Se le critiche rivolte a te sono vere, non lamentartene; se non lo sono, non dargli importanza. - Neanche Gesù Cristo quando è venuto nella Terra si é proposto di risolvere i problemi personali. Lui si è limitato a insegnarci il cammino che abbiamo bisogno di seguire per noi stessi. - Ringrazio tutte le difficoltà che ho affrontato; se non fosse per esse, sarei rimasto fermo. Le facilità ci impediscono di camminare. Anche le critiche ci aiutano molto. - Tu non sempre avrai quello che desideri, ma mentre starai aiutando agli altri troverai le risorse di cui ha bisogno. - Non c'è problema che non possa essere risolto con la pazienza. - L'ambiente pulito non è quello che più si pulisce, ma è quello che meno si sporca. - Tutto quello che creiamo per noi, di cui non abbiamo bisogno, si trasforma in angoscia e depressione. - Rimango triste quando qualcuno mi offende, ma con certezza, io rimarrei più triste se fossi io l’offensore. Rattristare qualcuno è terribile. - Tutto è amore. Anche l’odio, il quale giudichi essere l’antitesi dell’amore, niente è se non il proprio amore che si è ammalato gravemente. - La felicità non entra dalle porte chiuse. - Il Cristo non ha chiesto molte cose, non ha preteso che le persone scalassero l’Everest o facessero grandi sacrifici. Lui ha solo chiesto che ci amassimo gli uni agli altri.

João Guimarães Rosa - Grande sertao

Favoloso altipiano del Brasile profondo, deserto-brughiera dei Campos Gerais rinverdito di improvvise palme giganti, il 'sertao' di Guimaraes Rosa è uno spazio magico percorso nell'intrico dei suoi sentieri da santoni a banditi, popolato di mandrie e di piccoli uomini da nomi altisonanti come di eroi di saghe remote. Sono, questi individui, provvisori e paradigmatici, unici e intercambiabili, portatori ciascuno di un'individualissima parola ritagliata con creatività espressionista nel tessuto vivo di linguaggio, Guimaraes Rosa alza il 'sertao' da teatro di gesta rusticane a metafora del mondo, dove l'uomo è ombra platonica e plotinica di un'idea che lo trascende, ma è anche caverna-sertao interiore, scenario diurno e notturno dell'eterna lotta fra Dio e il Diavolo. Vittima, forse, di un inconcluso patto col Maligno, il vecchio bandito-'jagunço' Riobaldo porta nel 'sertao' del cuore, come ogni personaggio di Guimaraes Rosa, il rimorso-angoscia di un peccato originale che lo precede. E il racconto della vicenda che lo ha segnato in gioventù - effettuato in prima persona, nelle forme dell'oralità, a un interlocutore fuori campo - trascina il lettore dalla prima riga all'inatteso 'explicit' coll'irruenza di un mai rallentato flusso narrativo. Se, come voleva Guimaraes Rosa, "alle volte un libro è maggiore di un uomo", questo libro magico e consolatorio, in cui il rimpianto dell'amore irrealizzato ha la dolcezza pungente di una colpa di inadeguatezza, è forse il dono più grande che l'America Latina del realismo magico e il Brasile della parola iridata hanno fatto in questi anni a un'Europa di disseccato cerebralismo. E' un libro difficile, faticoso, almeno lo è stato per me, che però mi ha ripagato alla grande dello sforzo fatto. Un Premio nobel poco conosciuto ma veramente grande, come il "sertao" di cui si parla .....from http://www.forumlibri.com/forum/showthread.php/613-Guimares-Rosa-Joao-Grande-sertao

mercoledì 30 marzo 2011

Jericoacoara

L'albergo dove passo l'ultima notte qui a Jericoacoara non si fará certo rimpiangere per la sua bellezza. Una stanza doppia quasi vuota, essenziale, senza finestre se non una che dá sulla stanza della televisione, un ventilatore sul tetto mai spento, l'odore e´pungente, quasi irrespirabile, un' aria calda ed umidiccia rimescolata dalle lente pale. Mi capita spesso di svegliarmi al mattino pensando che il rumore del ventilatore sia quello di un incessante acquazzone tropicale. Il bianco delle pareti mi ricorda quello delle aule di una scuola, il bagno mi e´stato consegnato con il cestino dell'immondizia pieno. L'acqua calda rotta ed il filo dello scaldabagno bruciato. La stanza e´la piu´economica della pousada. Ho tirato sul prezzo e me l'hanno lasciata quasi per la meta´, un po' perche´e´bassa stagione, un po' perche´stanno facendo dei lavori e gli operai iniziano i rumori gia´al mattino presto. Rane saltellano qua e la´, a volte piccole come un pollice, a volte crosse piu´di un pugno. Tra la pousada ed il mare un grande spazio aperto, sabbia e campo, cavalli e mucche al pascolo. Una grande duna bianchissima al tramonto si riempe di tutte le persone del paesino che come formiche ne risalgono la costa. Lo spettacolo ed i colori del sole che entra nel mare e´uno dei piu´belli al mondo ed unico nel Brasile. Costeggiando l'altro lato della duna si arriva ad una laguna dove un piccolo stormo di uccelli fa ben capire agli sventurati passeggiatori quali sono i limiti che e´meglio non oltrepassare, e non potendolo fare a parole, lo fa volando, prima delimitando il perimetro oltre il quale potrebbero pensare che la vita dei loro piccoli sia in pericolo, e poi, iniziando a volare a tutta velocita´in direzione del malcapitato, girando solo all'ultimo secondo. Ogni animale difende il suo territorio. I tori riescono a farlo solo con lo sguardo. La maggior parte degli altri invece si dá alla fuga. Nelle pareti scoscese a strapiombo sul mare o su bellissime calette, somari, mucche, capre pascolano felicemente la rigogliosa erba, uccellini gialli si posano spesso sui cactus che addobbano il paesaggio. Un faro capeggia il tutto dal punto piu´alto della costa ed un gruppo di tori sembra fargli la guardia. Le strade del paesino sono di sabbia. Entrare ed uscire dal villaggio e´possibile solo su mezzi 4x4 allestiti alla buona per il trasporto passeggeri; il percorso tutto di dune e laghi, impossibile orientarsi. Nell'acqua delle lagune piu´grandi il riflesso del sole e del cielo, con le sue maestose nubi, forma a pochi metri dalla riva, un effetto ottico simile all'arcobaleno.

João Cabral de Melo Neto

(Recife, 9 gennaio 1920 – Rio de Janeiro, 9 ottobre 1999) è stato un poeta e diplomatico brasiliano, vincitore del Premio Camões nel 1990. Vedeva la poesia con un forte rigore estetico, priva di confessioni del poeta tra le rime e in modo del tutto innovativo in Brasile. La sua dunque è poesia non emotiva, ma cerebrale fatta di linguaggio ricercato e pensiero. Fratello dello storico Evaldo Cabral de Melo, cugino del poeta Manuel Bandeira e del sociologo Gilberto Freyre, fu amico del pittore Joan Miró e del poeta Joan Brossa. Fu membro permanente dell'Accademia delle Belle Arti e docente di Lettere all'università di Rio. Negli ultimi anni di vita (esattamente dal 1996) fu un forte candidato per il Premio Nobel per la Letteratura, ma non gli fu mai assegnato. L'anno prima della sua morte José Saramago divenne il primo scrittore di Lingua Portoghese a vincere il Nobel. (from Wikipedia)

lunedì 28 marzo 2011

Un mundo chamado Brazil

La proprietaria della pousada piu' che trentenne che impara a leggere nella quiete pomeridiana, seguendo con un dito le parole di un libro per bambini o il solitario venditore di gelati che percorre chilometri di bellissime ma deserte spiaggie bianche nella speranza di vendere qualcosa. Viaggiatori sempre alla ricerca della bellezza: nelle sfumature comprese tra gli odori che si sprigionano quando l'azione del freddo produce il gelo e l'azione del calore produce la decomposizione. Tra il rumore sordo di un bambino che si tuffa nel mare e le urla acute di una mamma che insegue il figlio. Tra il rosso del sangue di un poveraccio malmenato chissa´perche´e chissa´da chi in un caldo pomeriggio di Lapa ed il viola delle sudate divise dei "figli di Gandhi" nelle prove generali del carnevale di Salvador. Tra la liscia pelle di una ragazza portoghese conosciuta a Natal e le scoscese roccie da attraversare alla ricerca di nuove spiaggie nella Praia do Pipa. Nuotare con i delfini ed essere divorati dalle zanzare. Ustionarsi sotto il sole ed inzupparsi d'acqua sotto un improvviso acquazzone tropicale. Passare dai grattacieli di Rio alle desertiche dune del Ceara´. Dai venti milioni di abitanti di Sanpaolo, alle poche decine di famiglie di un quilombo del reconcavo baiano. Dalla lentissima litania del berimbao nella capoeira angola, all'ossessiva velocita´della samba carioca. Mi piacerebbe riuscire a guardare il brasile con gli occhi di un puro osservatore, non identificarmi nei suoi ritardi, nei suoi problemi, nella sua poverta´, nella sua musica, nella sua allegria. Evitare di assecondare le mie opinioni, ponendo tutto in discussione, usando come metro di giudizio un innato europeo senso di giudizio. Quando si guarda un quadro, non si discute, semplicemente si apprezza, quando si sente un musicista suonare la chitarra solo si gioisce della musica, quando si ascolta una poesia e´meglio farlo con la testa libera di pensieri. La bellezza non e´un sillogismo e non ha bisogno di argomentazioni. La vita non e´una domanda, un problema da risolvere, ma un mistero nel quale dissolversi. Seduto nel tavolino di un bar odori, rumori, sapori, colori prendono forma in dettagli sempre nuovi. Il rosso delle vene degli occhi del vicino di tavolo in un visibile alterato stato di coscienza, il suo ripetuto tirare dal naso alla ricerca di sapori appena vissuti e scomparsi, il bianco e nero dello zucchero e delle formiche che vi gironzolano dentro, il blu della pubblicita´della pepsi sempre presente anche nel piu´remoto paesino dell'Amozzonia, l'odore del sudore, del protettore solare, le urla della gente nel loro normale discutere. Il frastuono degli impianti stereo delle macchine parcheggiate davanti, col cofano aperto, il motore acceso ed il rimbombo delle marmitte.....

venerdì 25 marzo 2011

Lo sviluppo dell'uomo avviene secondo due linee: 'sapere' e 'essere'

"Lo sviluppo dell'uomo, egli diceva, si effettua secondo due linee, 'sapere' ed 'essere'. Ma affinché l'evoluzione avvenga correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallele l'una all'altra e sostenersi reciprocamente. Se la linea del sapere sorpassa troppo quella dell'essere, e se la linea dell'essere sorpassa troppo quella del sapere, lo sviluppo dell'uomo non può farsi regolarmente; prima o poi deve fermarsi. "La gente afferra ciò che si intende per 'sapere'. Si riconosce che il sapere può essere più o meno vasto e di qualità più o meno buona. Ma questa comprensione non viene applicata all'essere. Per essi l'essere significa semplicemente ' l'esistenza ' che contrappongono alla 'non esistenza'. Non comprendono che l'essere può situarsi a livelli molto differenti e comportare diverse categorie. Prendete per esempio l'essere di un minerale e l'essere di una pianta. Sono due esseri differenti. L'essere di una pianta e quello di un animale sono anch'essi due esseri differenti, e così pure l'essere di un animale e quello di un uomo. Ma due uomini possono differire nel loro essere più ancora di quanto un minerale e un animale differiscono tra loro. E questo è proprio ciò che le persone non comprendono. Non comprendono che il sapere dipende dall'essere. E non soltanto non lo comprendono, ma non lo vogliono comprendere. In modo particolare nella civiltà occidentale, si ammette che un uomo possa avere un vasto sapere, che per esempio egli possa essere un illustre sapiente, autore di grandi scoperte, un uomo che fa progredire la scienza, e nello stesso tempo possa essere, ed abbia il diritto di essere, un povero piccolo uomo egoista, cavilloso, meschino, invidioso, vanitoso, ingenuo e distratto. Sembra normale che un professore debba dimenticare dappertutto il suo ombrello. Eppure è proprio questo il suo essere.....

giovedì 24 marzo 2011

from Camocim to Parnaiba


viene svegliato alle 5 e 30 del mattino da qualcuno che urla due volte il suo nome con un forte accento brasiliano, si era addormentato in una splendida villa sulle sponde della Baia di Camocim,in un quartiere di pescatori, al suo ospite era a punto di nascere una figlia e per l'emozione si era chiuso fuori di casa. Fatte in fretta e in furia le valigie, dopo aver scelto di non rimanere solo in casa per il week-end con una cameriera ed una canoa a sua completa disposizione, si precipita in macchina con l'amico, la sua compagna a cui si erano rotte le acque e la madre della compagna. Copre in poche ore la distanza che lo separa dall'ospedale di Parnaiba, passando la frontiera del Ceara´, alle prime luci dell'alba in una autostrada nel deserto che sembra un giardino zoologico, cani appollaiati per sentire il calore dell'asfalto, avvoltoi giganti che sembrano tacchini brutti e neri, innumerevoli asini, mucche, tori, capre tutti a gironzolare liberamente per le corsie, spostandosi solo all'ultimo secondo, sembra una corsa ad ostacoli, e per ultimo le dune che ci si mettono anche loro a complicare il tutto, infatti anche se in Europa non si sa qui anche le dune si muovono (con il vento) cambiando di posizione come se fossero vive, un giorno di qua un giorno di la'....

Gialâl ad-Dîn Rûmî, (L'elefante nella casa buia )


Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto.
Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo né la forma né i contorni dell'elefante, cominciarono a testarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi, e a torto, di conoscere la verità per bocca di coloro che erano essi stessi in errore.
Posero delle domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo.
Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto".
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo".
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "E' possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una della tante parti dell'elefante. La percezione di ognuno era errata. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: la conoscenza non appartiene ai ciechi. Tutti immaginavano qualcosa, e l'immagine che ne avevano era sbagliata.
La creatura non sa nulla della divinità. Le vie dell'intelletto ordinario non sono la Via della scienza divina.

martedì 22 marzo 2011

il Giardino Cintato della Verità (di Hakim Sanai)


Un rubino è solo un pezzo di pietra:
e l'eccellenza spirituale il massimo della follia.
Il silenzio è lode - finiscila con i discorsi;
il chiacchiericcio ti porterà solo dolore e sofferenza -


Credulità ed incredulità
entrambi hanno la loro origine
nel cuore ipocrita;
La strada è lunga solo
perché ritardi ad iniziarla;
un unico passo
ti porterebbe a lui:
diventa uno schiavo,
e diventerai un re.

Per il saggio
male e bene
sono lo stesso.
Nessun male viene mai da Dio;
ogni volta che si pensa di vedere
del male provenire da lui,
sarebbe meglio vederlo
come un bene.
Temo che, nel cammino della fede,
sei come uno strabico che vede doppio,
o un pazzo che litiga con la forma di un cammello.

traduzione by dor
da http://buddhismoitalia.forumcommunity.net/?t=43848849

El jardín amurallado de la verdad


El "Hadiqat" o "El jardín amurallado de la verdad", escrito en la primera mitad del s.XII por el poeta persa Hakim Sanai de Ghazna, es otra obra maestra de sutileza e inspiración propias de los grandes escritos místicos. Difícilmente puede encontrarse un maestro más mordaz que Hakim Sanai; sus palabras, ni malintencionadas ni gratuitas, vienen de alguien que se ha visto a sí mismo.

martedì 15 marzo 2011

all people are machines governed by external influences‏



"People are turning into machines," I said. "And no doubt sometimes they become perfect machines. But I do not believe they can think. If they tried to think, they could not have been such fine machines."
"Yes," said G., "that is true, but only partly true. It depends first of all on the question which mind they use for their work. If they use the proper mind they will be able to think even better in the midst of all their work with machines. But, again, only if they think with the proper mind."
I did not understand what G. meant by "proper mind" and understood it only much later.
"And secondly," he continued, "the mechanization you speak of is not at all dangerous. A man may be a man" (he emphasized this word), "while working with machines. There is another kind of mechanization which is much more dangerous: being a machine oneself. Have you ever thought about the fact that all peoples themselves are machines?"
"Yes," I said, "from the strictly scientific point of view all people are machines governed by external influences. But the question is, can the scientific point of view be wholly accepted?"
"Scientific or not scientific is all the same to me," said G. "I want you to understand what I am saying. Look, all those people you see," he pointed along the street, "are simply machines—nothing more."
"I think I understand what you mean," I said. "And I have often thought how little there is in the world that can stand against this form of mechanization and choose its own path."
"This is just where you make your greatest mistake," said G. "You think there is something that chooses its own path, something that can stand against mechanization; you think that not everything is equally mechanical."
"Why, of course not!" I said. "Art, poetry, thought, are phenomena of quite a different order."
"Of exactly the same order," said G. "These activities are just as mechanical as everything else. Men are machines and nothing but mechanical actions can be expected of machines."
"Very well," I said. "But are there no people who are not machines?"
"It may be that there are," said G., "only not those people you see. And you do not know them. That is what I want you to understand."
I thought it rather strange that he should be so insistent on this point. What he said seemed to me obvious and incontestable. At the same time, I had never liked such short and all-embracing metaphors. They always omitted points of difference. I, on the other hand, had always maintained differences were the most important thing and that in order to understand things it was first necessary to see the points in which they differed. So I felt that it was odd that G. insisted on an idea which seemed to be obvious provided it were not made too absolute and exceptions were admitted.
"People are so unlike one another," I said. "I do not think it would be possible to bring them all under the same heading. There are savages, there are mechanized people, there are intellectual people, there are geniuses."
"Quite right," said G., "people are very unlike one another, but the real difference between people you do not know and cannot see. The difference of which you speak simply does not exist. This must be understood. All the people you see, all the people you know, all the people you may get to know, are machines, actual machines working solely under the power of external influences, as you yourself said. Machines they are born and machines they die. How do savages and intellectuals come into this? Even now, at this very moment, while we are talking, several millions of machines are trying to annihilate one another. What is the difference between them? Where are the savages and where are the intellectuals? They are all alike . . .
"But there is a possibility of ceasing to be a machine. It is of this we must think and not about the different kinds of machines that exist. Of course there are different machines; a motorcar is a machine, a gramophone is a machine, and a gun is a machine. But what of it? It is the same thing—they are all machines."
In connection with this conversation I remember another.
"What is your opinion of modem psychology?" I once asked G. with the intention of introducing the subject of psychoanalysis which I had mistrusted from the time when it had first appeared. But G. did not let me get as far as that.
"Before speaking of psychology we must be clear to whom it refers and to whom it does not refer," he said. "Psychology refers to people, to men, to human beings. What psychology" (he emphasized the word) "can there be in relation to machines? Mechanics, not psychology, is necessary for the study of machines. That is why we begin with mechanics. It is a very long way yet to psychology."
"Can one stop being a machine?" I asked.
"Ah! That is the question," said G. "If you had asked such questions more often we might, perhaps, have got somewhere in our talks. It is possible to stop being a machine, but for that it is necessary first of all to know the machine. A machine, a real machine, does not know itself and cannot know itself. When a machine knows itself it is then no longer a machine, at least, not such a machine as it was before. It already begins to be responsible for its actions."
"This means, according to you, that a man is not responsible for his actions?" I asked.
"A man" (he emphasized this word) "is responsible. A machine is not responsible."
.....
I asked G. what a man had to do to assimilate this teaching.
"What to do?" asked G. as though surprised. "It is impossible to do anything. A man must first of all understand certain things. He has thousands of false ideas and false conceptions, chiefly about himself, and he must get rid of some of them before beginning to acquire anything new. Otherwise the new will be built on a wrong foundation and the result will be worse than before."
"How can one get rid of false ideas?" I asked. "We depend on the forms of our perception. False ideas are produced by the forms of our perception."
G. shook his head.
"Again you speak of something different,"' he said. "You speak of errors arising from perceptions but I am not speaking of these. Within the limits of given perceptions man can err more or err less. As I have said before, man's chief delusion is his conviction that he can do. All people think that they can do, all people want to do, and the first question all people ask is what they are to do. But actually nobody does anything and nobody can do anything. This is the first thing that must be understood. Everything happens. All that befalls a man, all that is done by him, all that comes from him—all this happens. And it happens in exactly the same way as rain falls as a result of a change in the temperature in the higher regions of the atmosphere or the surrounding clouds, as snow melts under the rays of the sun, as dust rises with the wind.
"Man is a machine. All his deeds, actions, words, thoughts, feelings, convictions, opinions, and habits are the results of external influences, external impressions. Out of himself a man cannot produce a single thought, a single action. Everything he says, does, thinks, feels—all this happens. Man cannot discover anything, invent anything. It all happens.
"To establish this fact for oneself, to understand it, to be convinced of its truth, means getting rid of a thousand illusions about man, about his being creative and consciously organizing his own life, and so on. There is nothing of this kind. Everything happens—popular movements, wars, revolutions, changes of government, all this happens. And it happens in exactly the same way as everything happens in the life of individual man. Man is born, lives, dies, builds houses, writes books, not as he wants to, but as it happens. Everything happens. Man does not love, hate, desire—all this happens.
"But no one will ever believe you if you tell him he can do nothing. This is the most offensive and the most unpleasant thing you can tell people. It is particularly unpleasant and offensive because it is the truth, and nobody wants to know the truth.
"When you understand this it will be easier for us to talk. But it is one thing to understand with the mind and another thing to feel it with one's "whole mass,' to be really convinced that it is so and never forget it."

from "In Search of the Miraculous" Ouspensky:
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