lunedì 29 ottobre 2012

Diario di viaggio, Thailandia

difficilmente ho fatto più di due docce in un giorno, oggi ne ho già fatte 4 di cui due solo nell'ultima mezza ora, la stanza è un forno, il ventilatore puntato in faccia, sembra moderno, uno sulla testa, il pavimento è in legno, alle finestre le zanzariere lasciano appena filtrare l'aria, due letti doppi emanano calore insieme al computer sempre acceso, tutto emana calore ed il ventilatore non fa altro che rimettere in circolo la stessa aria calda. In bocca ho ancora il sapore dell'ultimo frutto, venduto a peso d'oro, di una bancarella di Ayutthaya, il suo sapore morbido ed intenso ma difficile da digerire, come tutte le cose buone e come tutta la cucina Thailandese, d'altronde. Alla radio una musica jazz allieta enormemente questo afoso pomeriggio, impossibile uscire per le strade anche col mio ridicolo cappello vietnamita col quale ho cercato durante le ultime giornate di difendermi dal sole. Ho cercato di ridurre al minimo gli indumenti ed i peli che ricoprono il mio corpo, gli abitanti del luogo mi guardano e seppur con notevole autocontrollo riescono a contenere il sorriso, forse sono troppo timidi o educati per sorridermi in faccia, i bambini no, e ridono divertiti alla vista di quello strano ragazzone un po' barbuto, pantaloncini corti, capelli rasati alla moaikana, scarpe da tennis fosforescenti all'ultima moda, occhiali da vista e cappello di paglia conico tipico  dei contadini vietnamiti, ma che difficilmente hanno visto indossato da un europeo. Eppure questo copricapo è utilissimo, da un lato protegge meravigliosamente dal sole, dall'altro permette la circolazione dell'aria all'interno del cono . Mica stupidi questi vietnamiti.
Non sono un grande amante dell'aria condizionata, preferisco il ventilatore, mi fa sentire a modo mio più vicino alla gente del posto, alla temperatura del posto, all'ambiente esterno e poi quel vento caldo in faccia non mi dispiace ed il sudore nemmeno, sempre meglio del freddo. L'aria condizionata invece crea delle distanze con l'ambiente esterno e con gli altri, delle oasi di benessere, paradisi artificiale, non mi piace la comodità,mi fa indulgere nel mio lato pigro. Molto più romantica una stanza spartana e senza confort eccessivi, magari con internet , ma lo scarico del bagno lo preferisco quando perde, lo scaldabagno quando non funziona, l'acqua che un po' esce caldissima ed un po fredda sono dettagli che mi riempiono di piacere,  mi fanno sentire a mio agio, meno solo nella mia imperfezione, io non sono perfetto e mi piace vivere in un ambiente che un po' mi rispecchi, precario, non comodo, ma romantico. Neanche nella comoda europa sono mai stato un grande amante delle comodità, ho sempre preferito la seconda classe, i treni affollati ed i ritardi, non mi piace vivere in un mondo abbellito, forse mi fà sentire in colpa e distante dagli altri essere umani, forse non c'è una spiegazione.
In strada ho ridotto la comunicazione all'essenziale, ho scoperto che non hai bisogno di parlare una lingua per vivere bene, anzi, mi limito quando voglio mangiare ad indicare quello che voglio, magari dal piatto di un altro commensale, poi quello che voglio bere, con le dita indicarne le quantità, scegliere posti affollati e fidarmi dell'istinto. Mi piacciono i miei esperimenti non verbali ed in un certo senso pre-verbali. Le parole sicuramente sono essenziali quando devi mentire o vendere qualcosa, ma per l'essenziale sono spesso innecessarie. E' bello a volte prendersi una vacanza anche dalle parole.
In strada, ad esempio, ho scoperto che rifiutare le insistenti offerte di taxi e di tuk tuk funziona molto meglio facendo dei piccoli inchini, con le mani giunte e sorridendo,   che dicendo no, se dici no insistono tutti, se ringrazi e fai un inchino ti lasciano quasi sempre in pace subito.
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