sabato 17 dicembre 2011

"Io sono quello" Nisargadatta Maharaj, Bombay


scrivere di Nisargatta Maharaj non è certamente una cosa facile. La maggior parte delle informazioni su di lui sono facilmente reperibili in una qualsiasi sua biografia, quindi inutile dilungarsi su questo punto. Quello che mi spinge a presentare, il suo libro, è il fatto che spesso l'errore di traduzione tra i due mondi, quello indiano e quello occidentale, allontana da esso la maggior parte dei lettori. Fondamentale invece conoscere i contenuti delle sue opere, un autore che ha senz'altro segnato il pensiero del nostro secolo.  Spesso vivendo negli Stati Uniti mi è capitato di sentirmi rivolgere la domanda, "qual'è il tuo obbiettivo?", tanto in una palestra come in campo lavorativo, come se avere un obbiettivo fosse la cosa più normale e scontata del mondo. Parlando dell' "indianità" invece parliamo di un mondo dove proprio  gli obbiettivi svaniscono ed è  il percorso il fulcro del discorso e dell'insegnamento. Quest'immenso cambio di prospettiva rende intraducibili la maggior parte delle opere, e le traduzioni letterali non sono lo strumento migliore per connettere i due mondi. Difficile che un traduttore possa renderne, in una lingua occidentale, il senso, forse più facile sarebbe tradurre Nisargadatta Maharaj o Ramana Maharisci, in una fotografia o in una ricetta di cucina, che in un libro. Probabilmente neanche loro riuscirebbero a farlo propriamente, il saggio indiano molto più comunica col silenzio che con le parole. Grandi maestri dall'umilissima vita, tabaccai, pastori, dalla vita ed abitudini molto lontani dall' elite culturale in cui il messaggio spesso arriva, in europa ed in occidente. I grandi maestri indiani e rinomati filosofi che si trovano nelle nostre librerie sotto le categorie più varie e dai nomi più colorati, altro non sono che umili persone che parlano ad altre umili persone, il cui messaggio è di grande aiuto nella vita pratica e non nella metafisica. L'opera con cui mi sono scontrato e che mi piacerebbe introdurre è "Io sono quello"  un insieme di discorsi fatti attorno al 1970 da Nisargadatta Maharaj a chi lo andava a trovare ed ascoltare nella sua umilissima stanza di Bombay.  La bellezza e la poesia di un uomo che pronuncia allo stesso modo la parola "ipocrisia" e la parola  "compassione" non può permettersi di trovare barriere in semplici divergenze traduttive. 






























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